Condivisione del potere e processo decisionale

Sin dalla notte dei tempi, e specialmente dalla metà del secolo scorso, aziende, istituzioni (private, pubbliche) e società promuovono nuove forme di organizzazione per ripartire meglio il potere; si tratta di un fenomeno crescente che ha l’obiettivo di rendere le organizzazioni più agili, riducendo le gerarchie o, addirittura, eliminandole del tutto.

Ripartire il potere è un fine nobile, ma implica una maggiore assunzione di responsabilità. Gli anglofoni dispongono di un termine adeguato per designare questo concetto: lo chiamano «accountability». L’assunzione di responsabilità implica a sua volta la capacità di sopportarne le conseguenze.

La capacità di prendere delle decisioni è uno dei fattori essenziali per la ripartizione del potere. 

La messa in pratica di questo approccio verte su tre fattori preminenti:

  • l’autonomia delle persone 
  • le risorse personali disponibili 
  • la cultura in atto

Per quanto riguarda la nozione di «potere», rimando all’articolo «Leadership: un potere legittimo» (https://www.lp3leadership.com/wordpress/wpcontent/uploads/2018/11/LP3_Article
_16_IT_Leadership_un_potere_legittimo_20180808.pdf). 

Il potere

Il potere è una nozione neutra, anche se spesso è connotata in maniera negativa in base a ciò che leggiamo e percepiamo. Dal latino «potere» – poter fare qualcosa, avere le competenze per – il potere è un concetto assolutamente neutro ed è il suo utilizzo (l’utilizzo delle fonti del potere, di ciò che conferisce il potere) che può essere positivo o negativo. Con il denaro, inteso come classica fonte di potere, posso per esempio acquistare armi o fare una donazione a fini umanitari.

L’assunzione di responsabilità ci obbliga a volte a uscire dalla nostra zona di comfort. 

A tale proposito, vi rimando all’articolo «Occupabilità, zona di comfort e respirazione consapevole» (https://www.lp3leadership.com/site/it/occupabilita-zona-di-comfort-e-respirazione-consapevole/ ). 

A seconda delle risorse di cui disponiamo o delle sfide che dobbiamo affrontare, saremo disposti a uscire più o meno facilmente dalla nostra zona di comfort e a correre più rischi. 

Il coraggio

L’articolo sul coraggio, intitolato «Management: come rafforzare la nozione di coraggio» (https://www.lp3leadership.com/site/it/management-come-rafforzare-la-nozione-di-coraggio/ ) vi darà delle indicazioni per permettere ai vostri amici, figli, collaboratori o colleghi di superare le loro paure e quindi di essere più coraggiosi.

In effetti, non si dovrebbe dire a nessuno: «Sii più coraggioso!» Perché tutto dipende dalle paure che entrano in gioco. Proprio poiché non conosciamo le paure che affliggono gli altri, non abbiamo nessun diritto di chiedere loro di essere più coraggiosi. In cambio possiamo però attivare le leve menzionate nell’articolo succitato.

Le leve che potete attivare, sviluppare e rinforzare a tale scopo, sono le seguenti:

  1. le risorse della persona, valorizzandola e favorendone lo sviluppo (formazione, coaching,…)
  2. le esperienze positive che le permetterete di fare, delegandole per esempio un compito in cui avrà successo
  3. l’«ingenuità» della persona, coprendole le spalle e rinunciando a biasimarla se commette un errore. Così, anche la persona che non vede tutti i rischi (è ciò che intendo per «ingenuità», come quella di un bambino), oserà agire e prendere l’iniziativa, perché sa che potrà imparare dai suoi errori e che non verrà biasimata per essi. Consiglio a riguardo la lettura dell’articolo «Il diritto all’errore, senza essere in difetto». (https://www.lp3leadership.com/site/it/il-diritto-allerrore-senza-essere-in-difetto/ )

Il processo decisionale

Veniamo ora al processo decisionale, il tema chiave per intervenire sulla distribuzione del potere.

Il processo decisionale dipende soprattutto dalla cultura. Ho visto numerose aziende che per assumere approcci più agili e distribuire il potere hanno messo in campo tanti strumenti e metodi specifici, ma alla fine si sono scontrati con un fattore chiave, la propria cultura: «Chi ha il diritto di prendere delle decisioni?» «L’azienda è coerente fino in fondo o si tratta solo di un atteggiamento di facciata?»  

Come spiego nell’articolo «Olocrazia & co.: una questione di autonomia, lavoro di squadra, collaborazione e soprattutto di leadership» (https://www.lp3leadership.com/site/it/holacracy-co-una-questione-di-autonomia-lavoro-di-squadra-collaborazione-e-soprattutto-leadership/ ), non tutte le aziende o organizzazioni possono mettere in atto processi decisionali innovativi. 

In effetti, non tutti vogliono prendere delle decisioni e far fronte alle implicazioni che esse comportano, non tutti hanno le spalle abbastanza larghe per assumersene le conseguenze. È quindi necessario avere strutture decisionali chiare e adeguate all’azienda, all’organizzazione e al suo personale, senza abbandonare nessuno lungo il percorso.

Partiamo da tre livelli o tipi di processo decisionale: 

  • la decisione basata sul consenso 
  • la decisione presa per approvazione
  • la decisione presa in maniera autonoma.

La decisione basata sul consenso presume che tutte le persone presenti o coinvolte siano d’accordo. È un processo molto oneroso in termini di tempo e risorse e porta a soluzioni poco ambiziose, spesso vicine allo status quo e poco entusiasmanti. Tali decisioni andrebbero evitate.

La decisione presa per approvazione è quella derivante principalmente dai nuovi approcci, come l’olocrazia o la sociocrazia. È un approccio pertinente se ben gestito. Nel concreto, una persona propone una decisione, un progetto o un approccio, e se nessuno ha un’obiezione valida, quanto è stato proposto viene approvato. 

Il vantaggio principale di questo metodo consiste nel poter riconoscere le obiezioni valide e il contesto su cui si basano (visione, missione, valori, principi di comportamento, principi di condotta). È quindi importante strutturare e guidare lo scambio di opinioni.

Cosa significa obiezione valida? Un’obiezione è valida se la decisione, il progetto o l’iniziativa:

  • è esplicitamente contrario/a alla missione (ragion d’essere), alla visione o ai valori aziendali. Per esempio, un’azienda che produce micromotori e si considera umanitaria non può decidere di rifornire una fabbrica di armi.
  • presenta uno o più rischi evidenti e gravi che nuocerebbero alla reputazione, andrebbero a favore della concorrenza o ritarderebbero significativamente l’immissione sul mercato di un prodotto chiave.
  • comporta una o più conseguenze dirette, ossia il mancato raggiungimento di un obiettivo chiave, la moltiplicazione dei costi o la riduzione del personale. 
  • in aggiunta al punto precedente, provoca una o più conseguenze irreparabili effettive (non aventi carattere predittivo); per fare solo un esempio, se una tale decisione venisse presa, un concorrente avrebbe il diritto effettivo di rilevare una licenza di produzione, con forti ripercussioni sull’azienda.
  • incide direttamente sul margine di manovra di una delle persone presenti, sulla realizzazione degli obiettivi o sulla qualità dei prodotti e dei servizi di una o più persone presenti o interessate.
  • provoca nei presenti un rifiuto interiore perché l’approccio è contrario ai loro valori personali, per esempio.

Eventuali obiezioni valide dovranno essere discusse e trattate al fine di capire come rivedere la proposta, il progetto, la decisione o l’approccio. Può capitare che la proposta venga respinta o debba essere rielaborata e ripresentata successivamente.

E anche se tutti i punti esposti vengono osservati esattamente, resta un problema: se una decisione presa e basata sull’approvazione si rivela sbagliata, sarà molto difficile tornare indietro, interrompere il processo o annullare un approccio. Poiché i presenti hanno investito tempo e risorse per la decisione in oggetto, essi avranno difficoltà ad «ammettere il fallimento». 

Per questo motivo, la terza forma decisionale, la decisione presa in maniera autonoma, resta la più efficace e performante. È importante che il margine di manovra sia chiaramente definito, in modo che le persone dispongano delle risorse e del sostegno necessari per prendere delle decisioni autonomamente, senza dover passare attraverso processi complessi e costosi. È il miglior metodo per aumentare la velocità e la flessibilità.

Infatti, se una persona ha il diritto di prendere decisioni, di sbagliare, di imparare dai suoi errori e di crescere, potrà decidere più facilmente, più rapidamente e soprattutto, se sbaglia, potrà ritornare subito sulla sua decisione e modificarla, guadagnando così in agilità.

In sintesi, così facendo, permettiamo al maggior numero di persone di prendere decisioni, rafforzando la loro autonomia, le loro risorse e l’esperienza su cui si basano (sicurezza psicologica). 

Per riuscire in questo intento ci vuole una cultura aziendale basata sull’apprendimento in due fasi: 

chi commette un errore, nella prima fase lo analizza e ne trae insegnamenti e nella seconda fase ne condivide i benefici con le altre persone all’interno dell’organizzazione o dell’istituzione.

Buon processo decisionale!

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